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DAVID TREZEGUET

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Lo immagino il piccolo David, nella provincia di Buenos Aires, in un campetto pieno di buche, a correre dietro a sogni più grandi di lui che rotolano dentro a un pallone e sibilano gonfiando una vecchia rete strappata. 

Sì, perché David Trezeguet, per un buon periodo della sua infanzia, è vissuto in Argentina per poi tornare in Francia, il suo paese natio, a rincorrere ancora quei grandi sogni. A forza di correre ne realizzò tanti di sogni, probabilmente più di quelli che aveva sperato. Infatti, ebbe una carriera folgorante dove divenne addirittura campione del mondo e d’Europa.

A noi, però, la storia di Re David interessa dal 2000 al 2010, quando militò nella Juventus e fece sognare tutti i tifosi bianconeri con un fiume incredibile di goal. 

Nella stagione 2001 – 2002, Marcello Lippi lanciò David Trezeguet facendolo giocare in coppia con Del Piero. Fu un sogno per la società e per i tifosi. Una coppia d’attacco micidiale: la fantasia e la classe di Pinturicchio, insieme all’opportunismo, la lucidità, la spietatezza, la rapidità micidiale e la precisione sotto porta di Re David. Ancora oggi mi commuovo se ci penso. 

In quella stagione fece ventiquattro goal, tutti su azione: la sua velocità di pensiero ed esecuzione era qualcosa di incredibile, difficile da raccontare, si dovrebbero cercare le immagini delle sue reti per rendersene conto.

Purtroppo per Trezeguet non furono tutte rose e fiori; durante il suo periodo in bianconero ebbe numerosi infortuni e ci fu una certa insofferenza da parte del giocatore nei confronti della società, tanto che prima della stagione 2004 – 2005, David era pronto a essere ceduto. 

Con l’arrivo di Capello, però, cambiò tutto. Il nuovo allenatore ebbe grande fiuto e volle David al centro del progetto e dell’attacco Juventino, insieme naturalmente a Del Piero. 

Potremmo raccontare questa stagione soltanto con l’epica sequenza del goal realizzato nello scontro decisivo contro il Milan, in campionato. La rovesciata magica di Del Piero e l’anticipo sui difensori, fulmineo e precisissimo, di Trezeguet che infilava di testa la palla in rete e metteva un’ipoteca importante sullo scudetto. 

Quanta bellezza in quell’azione, quanta intesa tra i due attaccanti, quanta voglia di cercare il pallone, di riempire la rete, di trovare la vittoria e quanta voglia anche di ammaliare i tifosi, di sorprenderli con giocate inventate, traiettorie impossibili, anticipi che sembravano delle vere e proprie apparizioni dal nulla. 

Se dovessi descrivere questo immenso attaccante, direi che era un mago capace di segnare in qualsiasi modo e situazione. Una brutta gatta da pelare per i difensori: difficile da marcare, imprevedibile e velocissimo in area, sapeva trovare spazio anche dove sembrava non ce ne fosse. 

Re David era il signore assoluto dell’area, ma sapeva anche tirare e segnare da fuori con una potenza spaventosa.

Comunque, se dovessi sottolineare solo un motivo, tra i tanti, per cui amo questo giocatore, andrei sicuramente a raccontarvi di quando Trezegol decise di seguire la Juventus in serie B. In quel caso mostrò l’amore per la maglia e diventò un simbolo della nostra amata squadra. 

Credo che oggi pochi sarebbero disposti a un gesto simile. Si fanno capricci anche solo per rinnovare un contratto già ricco, figuriamoci sacrificarsi in B per la maglia e i tifosi. 

Teniamoci stretto il ricordo di Re David, perché noi che lo abbiamo visto giocare abbiamo avuto molta fortuna e dubito che il futuro ce ne riservi altrettanta, a meno che il calcio non cambi registro. 

Teniamoci stretto anche il ricordo delle sue 171 reti in 320 presenze che lo resero il miglior realizzatore straniero della storia della Juventus.

C’è un’ultima cosa che voglio dire di questo giocatore e cioè che era ed è ancora un gran signore. Un ragazzo gentile, generoso, rispettoso delle regole in campo e sorridente fuori. Non ricordo di averlo mai visto commettere atti di eccessivo nervosismo contro gli arbitri o gli avversari. David parlava con i goal in campo e noi lo ascoltavamo volentieri e ne comprendevamo la classe e la passione.

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MICHEL PLATINI

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Raccontare Michel Platini vuol dire rimembrare la nostra cosmogonia juventina: un’epoca appunto dove i campioni ancora non scendevano tra noi mortali nei “social”; non c’era ancora l’inflazione mediatica si giocava quasi esclusivamente la domenica. E tra un 90ª minuto e quello successivo, c’era molto spazio per l’immaginazione e l’epica: tempo d’eroi e di I miti. Così apparve Platini: una saetta scagliato da Giove Pluvio. Un fulmine a ciel sereno per la nazionale che si preparava ai Mondiali in Argentina e per il nostro portierone Zoff: 8 febbraio, stadio San Paolo, primo tempo doppietta di Ciccio Graziani; secondo tempo colpo di testa di Bathenay e doppio tiro al bersaglio di Platini. Due punizioni micidiali che, nonostante la prima venisse inspiegabilmente annullata, lasciò il pubblico italiano sbalordito.

In quel periodo, nel nostro paese vigeva ancora l’autarchia calcistica e i transalpini, in quanto a sport di squadra, eccellevano quasi esclusivamente con la palla ovale. L’Inter di Fraizzoli, dopo un tiepido interessamento, giungeva alla conclusione che un investimento a lungo termine su di un giocatore francese era troppo rischioso. Di tutt’altro parere era l’avvocatissimo Agnelli che, scaduto il contratto con il Saint-Étienne, lo portò a Torino per pochi spiccioli. Michel no si fece pregare, ben contento di recuperare le sue radici. Entrambi i genitori, infatti, erano di origine piemontese: il padre professore di matematica e allenatore di calcio amatoriale, la madre figlia del proprietario del bar dello sport. Un campione, dunque, cresciuto a pallone e pasta al pomodoro.

I tempi d’esordio in serie A (82-83), rimasero un po’ in sordina: la pubalgia e un certo timore reverenziale per una squadra zeppa di freschi campioni del mondo, non furono di grande aiuto. Poi un’ascesa inarrestabile, passaggi, goal e assist a non finire. Soprattutto qualità di palleggio sopraffina, lungimiranza tattica e fantasia. Non s’era ancora vinto nulla, ma tutti avevamo la sua effigie appesa al muro. Quindi una coppa Italia, due scudetti, tre titoli di capocannoniere, un rigore sacrosanto non dato ad Atene, un altro maledetto regalato a Bruxelles; una prodezza meravigliosa invalidata a Tokyo e una innumerevole galleria di saggi balistici. Protagonista assoluto della consacrazione della nostra Juve come regina di coppe, prima vincitrice del triplete europeo, in seguito ribattezzato con la vittoria intercontinentale. Intelligente e arguto dentro e fuori dal campo, s’è ritirato senza mai tradire i nostri colori. 

Nella sua ultima intervista da giocatore ebbe infatti a dichiarare: “Ho giocato nel Nancy perché era la mia città, nel Saint-Étienne perché era la migliore in Francia e nella Juventus perché è la migliore al mondo”. Un vero epitaffio 

Ora e sempre, dunque, Allez Michel 

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ALESSANDRO DEL PIERO

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L'ultimo, vero ed indiscusso capitano bianconero, riconosciuto in tutto il mondo da qualsiasi tifoso juventino.

 

Alessandro Del Piero, detto Alex, nasce a Conegliano il 9 novembre 1974. Dopo aver dato i primi calci al pallone nelle squadre locali, viene notato dal Padova di Piero Aggradi e fatto esordire giovanissimo in prima squadra.

Da lì, nel 1993, il passaggio alla Juventus, la squadra del cuore. Un annetto in Primavera e poi subito l'esordio in serie A, con Giovanni Trapattoni. Una settimana dopo arriva anche il primo gol contro la Reggiana, subentrato da poco a Ravanelli. 

Nel breve volgere di un campionato l'investitura a degno erede di un mito vivente come Roberto Baggio, che infatti verrà lasciato andare al Milan.

La prima stagione da titolare coincide con la conquista della Champions League a Roma, quella Coppa maledetta che da allora non ha più preso la strada di Torino.

Alessandro cresce e diventa via via il leader tecnico e morale della squadra, passando attraverso trionfi e debàcles bianconere.

 

L' 8 novembre 1998, a Udine, si infortuna gravemente al crociato anteriore e posteriore del ginocchio sinistro: da lì vivrà un paio d'anni abbondanti di difficilissima risalita, conditi da tante prestazioni opache, diversi gol ma quasi esclusivamente su rigore, preoccupazione di non recuperare più quel giocatore che, assieme a Totti, rappresentava la continuità coi grandi numeri 10 del passato. 

Riuscirà a riprendersi tutto con gli interessi.

 

Diventerà capitano della Juventus dal 2001 al 2012, vincendo numerosi trofei a livello nazionale e internazionale, segnando in tutte le competizioni a cui parteciperà e stabilendo il primato assoluto di reti (290) e di presenze (705) nella squadra bianconera.

 

Dal 1995 al 2008 ha fatto parte della nazionale, partecipando a tre campionati del mondo (Francia 1998, Corea del Sud-Giappone 2002 e Germania 2006) e quattro campionati d'Europa (Inghilterra 1996, Belgio-Paesi Bassi 2000, Portogallo 2004 e Austria-Svizzera 2008), l'ultimo dei quali da capitano. Pur avendo brillato meno che in maglia juventina, soprattutto nei tornei mondiali ed europei, in azzurro ha comunque totalizzato 91 presenze e 27 reti, che lo rendono il quarto miglior marcatore di sempre insieme a Roberto Baggio.

 

Del Piero ha segnato 346 gol in carriera, ma negli occhi dei tifosi resteranno per sempre quello che consegnò alla Juve la vittoria nella Coppa Intercontinentale, 1996, e quello segnato all'ultimo minuto dei supplementari nella semifinale dei mondiali in Germania, contro i padroni di casa, che sancì il diritto a partecipare alla finale contro la Francia.

 

Il 13 maggio 2012 disputa la sua ultima partita in campionato con la maglia della Juventus, contro l'Atalanta, segnando il 290º gol della sua carriera bianconera. Viene sostituito al 57': tutto lo stadio, un intero popolo è in lacrime e lo acclama perché sente che è finita un'era. Durante la premiazione Alex chiude gli occhi e bacia la coppa del campionato della rinascita, ultimo atto d'amore e di vittoria davanti alla sua gente, come in un film. 

 

Del Piero è stato tutto nella Juve: figlio, fratello, compagno, fidanzato, marito, padre. Ha toccato vette altissime, soprattutto nei primi anni fino all'infortunio, è caduto tante volte fino a sprofondare nell'abisso della serie B post Calciopoli. Non ha abbandonato la sua squadra nel momento del bisogno, ha saputo risorgere e tornare a vincere con lei, lasciandola non per sua volontà, certo che avesse nuovamente la forza per trionfare come in passato. 

Dei 9 scudetti consecutivi dell'ultimo decennio ha potuto griffarne solo il primo, ma il suo imprimatur è rimasto nel cuore di ogni tifoso.

 

Per me Alex è stato un fratello (ci separa poco più di un anno), sono cresciuto con lui , immedesimandomi nella sua esplosione, nelle sue giocate, nel suo diventare sempre più leader di una squadra che cambiava ma aveva in lui l'unica certezza incrollabile. 

Siamo diventati uomini, mariti e padri assieme. Le avversità vissute in carriera non lo hanno piegato e la sua rinascita sportiva è stata un esempio per tante persone.

 

Quel giorno di maggio 2012 ha segnato la fine di un'era ma lo ha consegnato all'immortalità, incastonandolo per sempre nel cuore di ogni amante della Vecchia Signora.

 

Alessandro Del Piero capitano, mio capitano!

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CRISTIANO RONALDO

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Quando lo vedevo giocare nel Real Madrid, parlando con gli amici, dicevo di quale sogno sarebbe stato, poterlo vedere con la maglia della mia adorata Juventus. Con le sue giocate, i suoi tiri potenti e precisi, infilava uno dopo l’altro i portieri di tutto il mondo. Quando lo definivano inferiore a Leo Messi, io, come se fosse già un giocatore della mia squadra, lo difendevo a spada tratta, definendolo il numero uno al mondo.

 

In un pomeriggio estivo del 2018, mi arrivò la notizia, mentre ero ad un workshop fotografico in Val d’Aosta, che la Juve lo aveva realmente ingaggiato con un contratto faraonico, riconoscendogli 32 milioni netti l’anno. Non mi preoccupai dell’ingente somma sborsata dalla società, tanto ero estasiato dall’idea di vederlo correre ogni domenica sui campi della serie A, indossando la “camiseta” bianconera.

 

Un sogno da tifoso, considerato fino a pochi giorni prima utopistico, era divenuto realtà. Apoteosi a livello emozionale da parte di tutta la tifoseria juventina. In ogni dove, giornalisti, blogger, semplici osservatori di calcio, preconizzavano la vittoria della Champions League quasi certa per la squadra a strisce bianconere con sede in Torino.

 

Presi dall’euforia, non avevamo fatto in conti con il fatto, che in ogni torta, va bene mettere la ciliegina, a patto, che la torta sia gustosa ed appetitosa. Purtroppo invece, avevamo preso il diamante cristallino, senza incastonarlo in una collana adatta all’uopo…… coloro che dovevano rifornire palloni da mettere in rete, i centrocampisti, non erano all’altezza di tale compito.

 

Nonostante questo atavico e annoso problema, Cristiano Ronaldo, partita dopo partita, segnava come se non ci fosse un domani, con la Juve, con la sua nazionale, superando ogni record a livello mondiale. Mentre sto scrivendo, è ufficialmente diventato il goleador più prolifico della storia del calcio.

 

Ma proprio quella agognata Champions League , dai tifosi juventini, che lui in altre 2 squadre aveva vinto per ben 5 volte (una con il Manchester United e ben quattro con il Real Madrid), sarebbe diventata motivo di divorzio anticipato sui tempi contrattuali. Aveva confidato ai compagni di squadra, che aveva scelto di giocare con la Juve, per tentare di vincere un ennesima coppa dalle grandi orecchie, con la terza squadra della sua carriera, ove si escludano i suoi primi calci con lo Sporting Lisbona, ove era oggettivamente difficile puntare a tale ambizioso traguardo.

 

Anno dopo anno, dal 2018 al 2021, il suo malumore per il non raggiungimento di tale obbiettivo, lo  rese sempre più insofferente verso i nostri colori, a tal punto di voler fuggire, come un ladro in fuga nella notte, nella prima squadra che gli offrisse una scappatoia dignitosa.

 

Dopo oltre 100 goal in 3 anni di Juventus, che aiutarono la Juve a vincere 2 scudetti e 1 coppa Italia, ma purtroppo 3 eliminazioni brucianti dalla sua amata competizione, in un pomeriggio dell’agosto 2021, segnando un gol, assurdamente annullato da un Var eccessivamente puntiglioso, ci fu l’addio definitivo ai nostri colori, lasciando a tutti gli innamorati del grande calcio l’amaro in bocca più bruciante che si possa immaginare.

 

Tutti i matrimoni che nascono con presupposti poco solidi, sono destinati a naufragare in un doloroso ma necessario divorzio, per ambo le parti. Abbiamo avuto l’onore e la fortuna di avere uno dei più grandi giocatori al mondo al nostro servizio, e non siamo stati all’altezza del suo immenso blasone.

Comunque sia, nessuno mai, ci toglierà la soddisfazione di poter avuto al nostro servizio questo vero atleta, di immenso livello, da poter raccontare ai più giovani, di un giocatore portoghese che faceva sognare milioni di tifosi in tutto il mondo con le sue giocate, i suoi scatti repentini, i suoi tiri al fulmicotone, i suoi colpi di testa ad altezza delle “nuvole”, e, quella rovesciata, che fece dinnanzi ad un Allianz Stadium in standing ovattino, incantato ed estasiato da questo giocatore con la camiseta blanca delle merengues di Madrid.

 

Il rammarico è tanto, e ci serva da lezione per il futuro, non si può costruire una casa partendo dal tetto, bisogna scavare solide fondamenta, e passo dopo passo, costruire quella casa che potrà infine essere abbellita e mostrata orgogliosamente a tutti. Cristiano Ronaldo, uno dei giocatori che io abbia amato come pochi altri, resterà, ahimè, un incompiuta, ed è questo che deve farci riflettere profondamente, di quanto sia importante, avere dirigenti all’altezza di compiti cosi ardui, ovvero costruire una squadra competitiva a tutti i livelli. Ma per questo sarebbe servita competenza, che purtroppo, non vi era, nel triennio in cui CR7, ha indossato la maglietta che noi amiamo fin da quando eravamo bambini……… Eternally CR7

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BACHECA DEI TROFEI

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38 SCUDETTI
15 COPPE ITALIA
9 SUPERCOPPE ITALIANE
2 CHAMPIONS LEAGUE
2 SUPERCOPPE EUROPEE
3 COPPE UEFA
1 COPPA DELLE COPPE
2 COPPE INTERCONTINENTALI
1 COPPA INTERTOTO

 

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